Aria sempre più irrespirabile in Veneto. I risultati del Rapporto Mal’Aria 2018

malaria

 

Aria sempre più irrespirabile in Veneto. Nel 2017 tutti i capoluogo di provincia del Veneto, si salva solo Belluno, si confermano fuorilegge con livelli di Pm10 alle stelle: Padova 102, Venezia 94, Vicenza 90, Treviso 83, Rovigo 80, Verona 73, Belluno 18. Situazione critica in tutta la Pianura Padana e in tutto il territorio veneto dove non si registra alcun accenno a miglioramenti anzi peggio, si configura l’abbandono della cabina di regia da parte della Regione Veneto.
Il rapporto veneto sull’inquinamento atmosferico regionale di Legambiente è stato presentato lunedì 16 aprile a Padova – scaduti il 31 marzo gli obblighi impartiti dal nuovo accordo di programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell’aria nel bacino padano e scadute il 15 aprile le ordinanze della quasi totalità dei quindici Comuni interessati – per fare il punto sulla grave situazione dell’inquinamento atmosferico che affligge i polmoni dei cittadini della regione e che sembra non essere una priorità ambientale e sanitaria per chi governa.
É un dato di fatto quanto l’emergenza smog sia sempre più cronica in Veneto: anche nei primi tre mesi del 2018 abbiamo iniziato molto male: a Padova, nei primi 90 giorni del 2018 sono stati 37 i giorni oltre la soglia per la salute umana. A Venezia 33, Vicenza 28, Treviso 27, Rovigo e Verona 23 (Belluno 4).
Insomma un inizio anno da “codice rosso” a causa delle elevate concentrazioni delle polveri sottili, al quale nessuna Amministrazione Locale ha saputo rispondere adeguatamente ma solo con deboli ordinanze derivanti dall’accordo padano e misure tampone che non hanno sortito alcun effetto.
“Tutto sommato questo non ci deve allarmare più di quanto lo possiamo già essere – commenta Andrea Casazza di Legambiente, estensore del rapporto – visto che il trend degli ultimi anni è circa un giorno su tre oltre il limite di legge, fissato a 50 μg/ m3 dall’ organizzazione mondiale della sanità. Non dobbiamo allarmarci più di quanto lo siamo già, ma dobbiamo proprio esserlo, e davvero molto”. Infatti è bene ricordare che stiamo parlando di un problema sanitario che incide enormemente sulla salute dei veneti: sono oltre 60 mila l’anno le morti per smog in Italia e la situazione continua ad essere drammatica dato che il problema, diffuso principalmente in pianura padana, ha costretto le regioni del nord italia e il Ministero all’Ambiente all’avvio di un tortuoso accordo di programma anti-smog sovra regionale.
Secondo Legambiente è chiaro che l’accordo di programma nasce dalla necessità di dare una risposta alle procedure di infrazione europee contro l’Italia per i frequenti superamenti dei limiti di qualità dell’aria negli anni passati (dal 2006) e poi ancora per la non corretta applicazione della direttiva del 2008 che imponeva all’Italia politiche efficaci per ridurre drasticamente e in poco tempo le emissioni inquinanti. “Un accordo dunque – commenta Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – che risponde alle esigenze di equilibrismo della politica ma non alle esigenze sanitarie dei cittadini. È infatti molto evidente, come emerge da questo rapporto, che le misure intraprese non sono affatto sufficienti neppure per farci uscire rapidamente dall’emergenza, figuriamoci se ci proponessimo di rendere l’inquinamento nella Pianura Padana privo di rilevanza sanitaria, secondo i valori guida suggeriti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. È indispensabile allora che l’Italia, ma soprattutto le Regioni, non abdichino al loro ruolo e rimettano mano a tutta la programmazione degli interventi dei “Piani di Risanamento dell’Aria”, hai piani dei trasporti, ai piani energia e clima che – alla luce dell’evidenza – sono stati tutti (quando esistenti) troppo timidi e largamente inefficaci.”.
Rispetto all’impegno dei Comuni coinvolti dall’accordo padano, si può notare come questi siano stati abbandonati dalla Regione e lasciati senza una cabina di regia generale Dall’analisi del rapporto si nota proprio come i Comuni siano stati costretti ad applicare limitazioni e misure dissuasive in maniera scomposta e non coordinata creando così confusione nei cittadini che si spostano da una città ad un’altra. Basti pensare ai ritardi con l’avvio delle ordinanze, che pur dovendo rispettare l’obbligo di avvio al primo ottobre (previsto dall’accordo padano) hanno avuto date di applicazione molto diverse tra di loro e – a parte San Donà di Piave (Ve) che ha approvato la propria ordinanza al fotofinish il 29 settembre – sono tutte arrivate in ritardo rispetto a quanto previsto collezionando un ritardo medio di 36 giorni.
Le limitazioni, va ricordato, vi sono state solo per gli agglomerati urbani e per i Comuni sopra i 30000 abitanti, ma come risulta altrettanto chiaro dalla lettura del rapporto, il pm10 è diffuso in tutto il territorio regionale e le distorsioni creata con questo accordo padano mette in evidenza come vi siano, in ogni provincia della regione, parti di territorio completamente escluse da ogni limitazione che invece producono più inquinamento di altri Comuni soggetti alle limitazioni. È quindi necessario un intervento che coinvolga tutti i Comuni a prescindere dalla loro dimensione. Gli accordi sottoscritti fino ad ora tra Ministero, Regioni, Comuni per affrontare la cattiva qualità dell’aria sono quindi serviti a poco o nulla. Sia a causa del tipo di provvedimento previsto, oppure nella loro reale applicazione o ancora per l’assenza di controlli. La criticità generali riscontrate sono state sostanzialmente due: da un lato il disomogeneo recepimento dell’accordo da parte dei singoli Comuni, senza un’armonizzazione degli interventi, dall’altro l’aver frammentato le responsabilità, “esonerando” di fatto la Regione dallo svolgere in maniera stringente il proprio ruolo e dovere di coordinamento.
In soccorso della politica arrivano sempre e solamente gli eventi climatici, che negli ultimi otto anni tra pioggia, venti e temperature, appaiono chiaramente essere i soli e unici protagonisti di ogni variazione nelle concentrazioni di PM10 in atmosfera, sia in negativo che in positivo.
A salvarci resta solo il cambiamento individuale in atto negli stili di mobilità degli italiani. Aumentano i pendolari dei treni (anche se ancora senza alcun incentivo regionale) e solo l’anno scorso la sharing mobility è cresciuta del 40% e la vendita di e-bike in Italia è cresciuta da 70 mila a 120 mila pezzi tra 2015 e 2016. Crescono quindi la mobilità on demand in sharing e pooling, gli Applicativi di aggregazione dei servizi, le flotte private di car sharing chiusi e il bike sharing in free floting e si moltiplicano in tutta Italia le esperienze di linee di autobus prenotabili “a chiamata”. Per il Veneto un esempio virtuoso che vale la pena citare in questo senso è quello di Padova, dove il Comune ha recentemente deciso di rafforzare con decisione il servizio urbano investendo circa 350.000 euro dal proprio bilancio, che hanno prodotto nell’immediato un aumento delle corse per 150.000 Km ed una una revisione strategica delle linee e dei nodi di interscambio. Sono tutti ottimi segnali che però tracciano una verità inconfutabile: i miglioramenti ad oggi compiuti sul fronte smog sono stati possibili solo grazie alle ricadute dovute agli adeguamenti alle macro-politiche europee che hanno stimolato l’attivismo concreto dei singoli cittadini e di alcune amministrazioni locali, seppur a macchia di leopardo.
“Come ribadiamo da anni non servono misure sporadiche, ma è urgente mettere in atto interventi strutturali e azioni ad hoc sia a livello regionale che locale – prosegue Lazzaro –. Una sfida che la Giunta regionale deve assolutamente affrontare con impegno e senza perdere tempo. Gli innumerevoli protocolli e accordi non devono riguardare solo i Comuni capoluogo ed i loro agglomerati o solo i centri che superano i 30mila abitanti ma tutti i comuni e le città coinvolte da questa emergenza in Veneto. È come se il comandate della nave avesse abbandonato il ponte di comando in navigazione contro gli scogli: la Regione deve assolutamente ritornare a bordo e manovrare il timone per risolvere questa emergenza ambientale e sanitaria, ad esempio promulgando urgentemente delle linee guida omogenee per tutto il territorio regionale. Occorre ripartire da un diverso modo di pianificare gli interventi nelle aree urbane, con investimenti nella mobilità collettiva, partendo da quella per i pendolari, nella riconversione sostenibile dell’autotrazione e dell’industria, nella riqualificazione edilizia, nel riscaldamento coi sistemi innovativi e nel verde urbano”.

LE 10 PROPOSTE DI LEGAMBIENTE PER TORNARE A RESPIRARE IN VENETO

1 Applicare i provvedimenti antismog indistintamente a tutti i comuni del Veneto, ridefinendo gli agglomerati urbani – eventualmente ampliando quelli esistenti – aumentando il numero delle centraline sul territorio regionale per il monitoraggio delle concentrazioni di PM10.

2 Uniformare le ordinanze dei Comuni attraverso una schema di ordinanza minima regionale da applicare in tutti i Comuni della regione Veneto al superamento dei vari gradi di allerta.

3 Ridisegnare strade, piazze e spazi pubblici delle città e creare zone 30, ovvero aree urbane con limite di velocità 30 km/h per aumentare la sicurezza e ridurre le emissioni di PM10 in atmosfera da parte dei veicoli.

4 Aumentare il verde urbano; incentivando la piantumazione di nuovi alberi, verde verticale e orti urbani.

5 Potenziare gli incentivi per una mobilità verso “emissioni zero”, ricorrendo alla trazione elettrica ed alla “sharing mobility”.

6 Priorità alla mobilità pubblica: maggiori investimenti anche regionali al TPL ed al suo potenziamento.

7 Stop ai veicoli più inquinanti; eliminare immediatamente la possibilità di circolazione per i mezzi piu inquinanti, a partire da quelli diesel e benzina euro 0-1-2-3.

8 Road pricing e ticket pricing; per limitare l’ingresso nei centri abitati di veicoli inquinanti istituire zone a pedaggio urbano e implementare una differente politica tariffaria sulla sosta.

9 Riqualificazione degli edifici pubblici e privati; per ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti, vietando l’uso di combustibili fossili (ad esclusione del metano) e istituendo un un piano regionale di interventi per l’implementazione di sistemi di riscaldamento da fonti rinnovabili.

10 Rafforzare i controlli su emissioni auto, caldaie, edifici ed intervenire su industrie e aree portuali, dotandosi di sistemi di monitoraggio in continuo da installare sui camini e sulle fonti emissive, in modo da avere costantemente un quadro sulle concentrazioni delle sostanze inquinanti che vengono emesse.

 

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